IL LAVORO RENDE LIBERI?
🛒SPESA CONSAPEVOLE🛒
Dopo il caporalato, torno ad affrontare tematiche più etiche legate alla spesa, perché con i nostri acquisti possiamo sostenere anche progetti di inclusione sociale.
Fino a due anni fa ero assolutamente all'oscuro di cosa fosse esattamente l'economia carceraria. Non mi ero mai posta il problema, non l'avevo mai incontrata sulla mia strada.
L'occasione l'ho avuta nel mio secondo stage da Tecnico Gastronomo, il più importante visto che richiedeva lo sviluppo di un project work.
Con molta curiosità entro a far parte per 10 settimane dello staff di Pausa Cafè, una cooperativa sociale che tosta caffè e produce birra e prodotti da forno (pane e grissini).
Se metto a fuoco quell'esperienza oggi, capisco che sono due gli ambiti in cui mi ha fatto crescere: quello umano e quello professionale.
Sono entrata nelle tre carceri in cui la cooperativa opera Torino, Saluzzo e Alessandria incuriosita dalle tre filiere produttive che durante il corso non avevo avuto modo di approfondire. Sono entrata volutamente senza documentarmi. Volevo che l'esperienza non fosse filtrata dallo sguardo altrui.
La prima cosa che si sottovaluta è che bisogna lasciare tutti gli effetti personali all'entrata. Noi, perennemente connessi, dobbiamo lasciare il collegamento con il mondo esterno per entrare in una bolla spazio-temporale. (La foto del mio pass è stata fatta in birrificio un giorno in cui si realizzavano le immagini per l'intervista del mastro birraio sul Giornale della birra.)
Poi non ho potuto fare a meno di osservare quei volti e quelle mani e la loro voglia di fare, di imparare per avere una seconda opportunità.
Dal punto di vista professionale ho innanzitutto conosciuto una storia bellissima, legata alla sostenibilità, alla biodiversità e all'inclusione sociale.
Nel 2002 l'attuale presidente della cooperativa si trova per conto di una ONG in Guatemala dove scopre che, nella regione di Huehuetenango, ci sono delle comunità che si tramandano da generazioni le tecniche per la coltivazione e la raccolta del caffè. Da qui nasce l’idea di tutela di quel territorio e di quelle comunità. Ci si rivolge all’Università di Torino e a Slow Food in cerca di supporto. Insieme si individuano le zone di quello che diventerà il primo Presidio Internazionale di Slow Food, all’interno della foresta pluviale in cui vi è un insieme di fattori microclimatici che sono decisivi per ottenere un prodotto eccellente: con le correnti calde provenienti dall’istmo di Tehuantepec in Messico che si incontrano con quelle fredde provenienti dalle Montagne di Cuchumatanes a circa 2.000 metri di altitudine.
Si inizia, quindi, a sondare il terreno per rendere possibile l’importazione del caffè verde in Italia, chiedendo supporto alle multinazionali del caffè. All’epoca la proposta non incontra tuttavia l’interesse delle aziende: in quegli anni manca ancora quella cultura – sviluppatasi un decennio dopo – che preferisce il prodotto mono-origine. Dal mancato interesse per l’importazione del mono-origine e dall’impegno già in essere in progetti di recupero ed inclusione in carcere nasce nel 2004 la cooperativa sociale. Oltre ai 3 laboratori di produzione negli anni si sono avvicendate esperienze di somministrazione e ristorazione, rivelatesi una sorta di “cuscinetto”, di ammortizzatore fra il lavoro in carcere e il mondo esterno, fondamentale soprattutto per i detenuti stranieri che, diversamente dagli italiani, hanno più difficoltà a reintegrarsi nel tessuto sociale una volta scontata la pena. Pur trattandosi di percorsi di formazione altamente professionalizzanti, il contesto in cui quest’ultima viene erogata richiede un supporto protratto e continuato per riavvicinarsi al mondo esterno.
ALCUNI DATI DI ECONOMIA CARCERARIA
Da dati ufficiali del Ministero di Grazia e Giustizia, i detenuti lavoranti al 30 giugno 2020 in Italia non alle dipendenze dell’Amministrazione Penitenziaria, sono 2.072 fra italiani e stranieri di sesso maschile. La maggior parte dei lavoranti, 15.043, sono impiegati all'interno degli stessi istituti con compiti di pulizie o aiuto in cucina. Tenendo conto che la popolazione carceraria ammonta a 60.769 unità, i lavoranti impiegati in un percorso di formazione professionalizzante sono poco più del 3%.
Di questi PAUSA CAFÉ occupa: 9 detenuti, 16 svantaggiati secondo l’art. 5 L. 381/91), 4 detenuti con misure alternative (art.21*, semiliberi**, affidati ai servizi sociali), 3 che hanno scontato la pena ma sono considerati ancora svantaggiati sono soci lavoratori o dipendenti della Cooperativa, in pratica PAUSA CAFÉ dà lavoro a quasi l’8% dei detenuti lavoranti piemontesi.
Grazie ai percorsi riabilitativi e di inclusione, la recidiva, che a livello nazionale è al 70%, nel caso di PAUSA CAFÉ è ridotta al 10%.
Quindi, rispondendo alla domanda del titolo, sì, assolutamente sì.
Se volete acquistare prodotti di economia carceraria a Torino, potete recarvi o acquistare on line da Freedhome. Troverete biscotti, vino, pasta ma anche borse, detersivi.
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*Art. 21 non è una forma alternativa alla detenzione, il rilascio di questo tipo di permesso è di responsabilità del direttore del carcere. E’ una possibilità per il detenuto di scontare una parte della pena con il lavoro. E’ concesso al detenuto di recarsi fuori dal carcere solo per il tempo lavorativo comprensivo di tragitto per raggiungere il luogo di lavoro. Art. 21 legge 354/75
**Semilibertà è una misura alternativa alla detenzione non vincolata all’attività lavorativa, può spettare al detenuto superati due terzi della pena, è una misura concessa dal magistrato di sorveglianza, il detenuto deve avere anche un domicilio stabile in cui soggiornare ma deve tornare in dormire in carcere. Art. 50 legge 354/75