SIAMO UOMINI O CAPORALI?
Torna la rubrica SPESA CONSAPEVOLE a cadenza bisettimanale. Prossimo appuntamento venerdì 12 febbraio.
Nel numero 0 ho trattato il richiamo, il ritiro prodotto e la tracciabilità del lotto di produzione.
Nel numero 1 uovo e ovoprodotti.
Oggi ho scomodato l'amaro monologo di Totò per introdurre la figura di coloro che traggono guadagno sfruttando il lavoro altrui.
In questa rubrica tratterò anche tematiche più etiche affinché il nostro ruolo di consumatori sia meno passivo e più, appunto, consapevole.
Secondo l'ultimo rapporto dell'Osservatorio sulla criminalità nell'agricoltura e sul sistema agroalimentare, il volume d'affari stimato delle agromafie è 24,5 miliardi di euro/anno.
Una cifra enorme e per di più in crescita: +12,4% rispetto all'anno precedente.
Quando si acquista una passata al supermercato si paga più per la bottiglia che per il pomodoro in essa contenuto.
È quanto emerge da una analisi della Coldiretti sui costi di produzione da cui si evidenzia una preoccupante distorsione. Se consideriamo una bottiglia di passata di pomodoro da 700 ml in vendita mediamente a 1,30€, il 53% è il margine della distribuzione commerciale, il 18% i costi di produzioni industriali, il 10% è il costo della bottiglia, l'8% è il valore riconosciuto al pomodoro, il 6% ai trasporti, il 3% al tappo e all'etichetta e il 2% per la pubblicità.
Partendo da questi dati, la domanda sorge spontanea: com'è possibile pagare così poco il pomodoro?
Sfruttando la forza lavoro.
Ogni anno in Italia vengono raccolti 5 milioni di tonnellate di pomodori tra luglio e settembre. La raccolta si avvale dell'arruolamento di migliaia di stagionali, che vivono ammassati in baraccopoli, chiamate anche ghetti, in cui le condizioni igieniche sono terribili. All'alba vengono prelevati dai caporali e portati nei campi dove lavorano fino al tramonto, guadagnando 2-3 € l'ora, facendo spesso uso di oppiacei e metanfetamine per sopportare la fatica e le condizioni disumane.
Ma quale dovrebbe essere il prezzo equo di una bottiglia di passata di pomodoro che non sfrutta la manodopera?
Secondo Slow Food, che ha chiesto ad un'azienda agricola pugliese biologica, i costi sono questi.
Cosa possiamo fare noi consumatori al momento della scelta? Informarci. Sempre. E farci qualche domanda in più.
Da qualche anno a questa parte sono nati numerosi progetti proprio nelle stesse zone in cui il caporalato è più presente. Ad esempio Sfruttazero. Progetti nati dall'associazionismo con l'ambizione di produrre conserve di pomodoro con il 0% di sfruttamento non solo della manodopera, ma anche dei campi.
Non dobbiamo credere, però, che il problema riguardi solo i pomodori pugliesi o gli agrumi calabresi, che con le loro baraccopoli, le rivolte e, purtroppo, i morti assurgono spesso agli onori della cronaca.
È di qualche mese fa, infatti, la notizia delle indagini sui dirigenti di Uber Eats, piattaforma che gestisce le consegne di cibo a domicilio, accusata di caporalato verso i rider. Con il boom del delivery a causa del Covid-19, si è aperta, purtroppo, una nuova frontiera per lo sfruttamento.